Into the white. Se dovessi scrivere un libro sul nostro viaggio alle Isole Svalbard lo intitolerei proprio così. Il bianco, nell’arcipelago abitato più a nord del mondo, lo assorbi, si mescola nelle tue viscere così velocemente da non darti neanche il tempo di accorgerti che ne sei già dipendente. Come la peggiore delle droghe.
Il nostro viaggio inizia a Febbraio, dopo 2 anni di attesa per cause pandemiche, da Oslo.
Questo articolo contiene:
I° giorno: l’arrivo alle Isole Svalbard
L’aereo atterra sul ghiaccio. Un aeroporto grande come un salotto spunta nel bianco. Un arrabbiato orso polare troneggia sul tappeto della consegna bagagli. Penso che non puoi certo perderti lì dentro.
Usciamo e il Flybuss, la navetta che ti porta nel centro abitato è lì che ti aspetta. Non atterrano molti aerei alla Isole Svalbard e l’autobus fa il giro degli hotel a Longyearbyen. Nessuna prenotazione di fermata, nessun giro a piedi a cercare l’alloggio, tutto facile e casalingo.
La temperatura all’arrivo è di -22° gradi e non siamo certo vestiti adeguatamente, arriviamo dal tepore dell’aereo e in aeroporto non abbiamo fatto in tempo a cambiarci. Poco male, vedo che tutti gli altri sono come noi.
Non appena lasciate le valigie in camera decidiamo di uscire subito, siamo nel primo pomeriggio e la luce sta iniziando a spegnersi lentamente. Sono preparatissima, dopo 2 anni di attesa so perfettamente le ore di luce e buio che ci sono a fine Febbraio alle Isole Svalbard.
E così, solette termiche, intimo tecnico, 2 paia di pantaloni (di cui uno da sci), pile, maglia di lana sopra, chiudiamo tutto con giaccavento e siamo pronti per uscire in versione insaccato.
Facciamo un giro per la capitale, Longyearbyen, l’unico centro abitato che conta più di una manciata di abitanti (circa 2.000) iniziando ad annusare il grande nord.
Mi viene subito alla mente il proverbio norvegese che intona: “non esiste cattivo tempo ma solo cattivo abbigliamento”.
Effettivamente non abbiamo freddo e la vita nella cittadina è tutt’altro che al chiuso: Longyearbyen è un brulicare di persone tra turisti incuriositi e abitanti del posto.
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Curiosiamo tra le vie, sbircio dentro le case che non hanno tende e scopro quanto siano accoglienti (tutte!) e che, anche se vivono nell’avamposto abitato più a nord del mondo il gusto scandinavo nell’arredamento non manca.
Visitiamo il visitabile, come la chiesa, il porto e le vie centrali facendo ben attenzione a non uscire dal centro abitato, come ben raccomandato da tutti vista la presenza degli orsi polari nella zona.
Se pensi sia una sciocchezza ti segnalo che gli abitanti del posto non prendono assolutamente alla leggera la cosa, e si raccomandano di non uscire dalla zona di sicurezza se non armati. Solo lo scorso anno un ragazzo ha subito un’aggressione mortale da un orso affamato.
Da appassionati di birra quali siamo, finiamo la giornata allo Svalbard Bryggeri, il birrificio artigianale più a nord del mondo per assaggiare le birre preparate con l’acqua del ghiacciaio.
Frammenti delle Svalbard:
- Le auto sono tutte di marca Toyota. Esiste un solo rivenditore di auto nell’arcipelago, e indovina di che casa automobilistica è?
- La cultura del cane. Sembra che quasi tutti gli abitanti di Longyearbyen abbiano un cane domestico che, dotato di apposite scarpette viene portato a spasso dai padroni. Al contrario esiste un solo gatto in tutta l’isola, che se ne guarda ben bene dal mettere il muso fuori!
- Togliti le scarpe! Nella maggior parte dei luoghi pubblici viene richiesto di togliersi le scarpe all’ingresso. E’ un usanza tramandata dai minatori per non sporcare gli ambienti chiusi. In alcuni luoghi sono disponibili delle ciabatte, in altri si va scalzi. Un ottimo modo per tenere puliti gli ambienti.
- Sul ghiaccio non si scivola. Sembra un ossimoro ma in realtà è così. E’ un ghiaccio secco e non fa scivolare, volendo potresti camminarci su con un tacco 12. Fallo, ti sfido!
II° giorno: l’inizio dell’avventura in motoslitta
Thomas, la nostra guida del Basecamp Explorer, ci viene a prendere all’hotel alle 10.00 di mattina. L’obiettivo è una breve riunione per definire la spedizione all’Isafjord Radio, dove passeremo la notte.
Il nostro gruppo è composto da noi due e tre svedesi che si riveleranno dei simpatici compagni d’avventura.
Raccolti intorno al tavolo per il briefing iniziale Thomas ci comunica che le previsioni non sono ottime e il rischio valanghe è alto durante il percorso a causa di un forte vento. Siamo purtroppo obbligati a rinunciare a effettuare il percorso verso ovest ma possiamo ripiegare andando verso est, e per la precisione verso il meraviglioso fiordo Tempelfjorden.
Sebbene avessimo prenotato una motoslitta per due, ce ne viene data una a testa. Inizio a pensare che non sarò in grado di guidare per così tanti chilometri un mezzo mai utilizzato prima ed entro in modalità “sfida con me stessa”.
Dopo poco prendo confidenza con il mezzo e, anche grazie alle spiegazioni di Thomas, capisco che per non farla capottare nei pezzi difficili del percorso è tutta una questione di bilanciamento di peso.
Potrei dirti che durante il percorso vedrai immense distese di bianco, colori mai visti prima nel cielo, montagne primordiali e renne delle Svalbard un po’ ovunque. Ma sarebbero cose concrete e non darebbero l’idea della spedizione nel suo complesso. L’unico modo per spiegare cos’è una spedizione in motoslitta nelle Isole Svalbard è viverla.
Terminiamo la giornata con sulle braccia circa 140 chilometri affrontati e una felicità inspiegabile. Sebbene sono certa che dovrò prendere un Oki per sopportare l’acido lattico nelle braccia ho uno strano senso di benessere che mi pervade.
Ceniamo in paese e crolliamo dalla stanchezza.
Frammenti delle Svalbard:
- La tuta artica in dotazione: uno scafandro pesantissimo da aggiungere a tutti gli strati di abbigliamento già indossati (quindi sopra la giaccavento), appositi scarponi e guanti a prova di freddo. Alla sera, quanto toglierai la tuta artica ti sembrerà di volare dalla leggerezza!
- Il pranzo durante la spedizione lo facciamo in un anfratto protetto da uno sperone roccioso. Sul carrellino della motoslitta della guida ci gustiamo della pasta liofilizzata (basta un po’ di acqua calda e diventa un primo piatto), cioccolato, biscotti e bevanda calda ai frutti rossi. La vera difficoltà? Mangiare con i guantoni da motoslitta!
- La guida è sempre armata, il rischio orsi è concreto e Thomas ci dice che gli è capitato più volte di sparare un colpo in aria per allontanare l’orso che sembrava interessato al prodotto esotico.
III° giorno: in motoslitta fino a Barentsburg
Il copione si ripete. La guida passa a prenderci e facciamo un breve briefing seduti attorno a un tavolo. Ormai c’è un buon feeling tra noi e gli svedesi e sembriamo vecchi amici che si ritrovano al bar il giorno dopo.
Partiamo per Barentsburg, un avamposto russo abitato da 470 persone, con un tempo meteorologico migliore rispetto al giorno precedente e la motoslitta sembra non aver più segreti per due avventurieri come noi. Uh, se ci sbagliamo!
Il percorso infatti è decisamente più tortuoso e impegnativo, fatto di dislivelli, pendenze, dossi invisibili e salite repentine. Mi chiedo se l’elemento portante di queste spedizioni sia l’adrenalina nel guidare la motoslitta o il paesaggio meraviglioso che si staglia davanti. Probabilmente il giusto mix di entrambi.
Attraversiamo un ghiacciaio lunghissimo con il sole che fa capolino tra le montagne e raggiungiamo Barentsburg poco dopo.
Se Longyearbyen ti ha sorpreso, quando vedrai Barentsburg penserai di essere entrato in una capsula del tempo e di trovarti negli anni 70 nell’Unione Sovietica.
Barentsburg deve i suoi natali all’industria del carbone e ancora oggi la sua popolazione è costituita principalmente da minatori di nazionalità ucraina e russa (nel periodo in cui scrivo, Marzo 2022 la tensione nel piccolo paese è alle stelle). Si esportano ancora dalla sua miniera ben 350.000 tonnellate di carbone l’anno.
La statua di Lenin con un cappello di neve troneggia tra i palazzoni.
E’ presente un hotel, per i tour che comprendono una notte nella cittadina, un ospedale, una farmacia, una scuola, una piccola chiesa ortodossa, un ristorante/birrificio e un casermone dove si ritrovano tutte le attività ludiche dei residenti (piscina, piccolo teatro, sala da ballo). Niente più. Incredibile vero?
Ripartiamo attraversando scheletri di strutture minerarie in disuso lasciati al loro destino e ritorniamo a Longyearbyen nel tardo pomeriggio con 180 chilometri in motoslitta sulle spalle.
La temperatura questa sera è di -33° gradi centigradi. Ceniamo al delizioso ristorante Vinterhagen (giardino d’inverno) in una serra con piante ornamentali di ogni tipo. Stanchi, usciamo dal ristorante a testa bassa fino a quando una ragazza ci fa cenno di alzare gli occhi.
Eccola.
L’Aurora Boreale gioca nel cielo sopra le nostre teste!
Corriamo alla velocità della luce nel primo posto buio pur rimanendo nella zona di sicurezza e nello specifico tra i container del porto. Mentre la guardo il mio cervello non smette di pensare a quanto mi è sempre sembrata una chimera, un qualcosa di casuale che non avrei mai visto. E invece l’impossibile accade.
La fine perfetta di una giornata perfetta.
Frammenti delle Svalbard:
- Animali da cortile sovietici. A Barentsburg tre capannoni ospitano gli animali da fattoria per il sostentamento della comunità. Galline, maiali, cavalli e qualche mucca sono a disposizione della comunità.
- Non c’è anima viva a Barentsburg. Sebbene fosse una domenica pomeriggio, Barentsburg sembrava una città fantasma. Solo visitatori con le motoslitte.
- L’Aurora Boreale, per il popolo del nord è una noia! Mentre per noi italiani fenomeni come l’Aurora Boreale ci fanno strabuzzare gli occhi e cadere la mascella, per gli abitanti delle Isole Svalbard sono quanto di più comune possa esserci, tanto da vederla anche a mezzogiorno durante la notte polare.
IV° giorno: le Isole Svalbard in un tour a piedi
Il quarto giorno alle Isole Svalbard lo passiamo a Longyearbyen, con l’idea di scoprire come si vive nell’estremo nord. Al mattino ci dirigiamo verso il porto per vedere meglio i colori dell’artico che si risveglia. Osserviamo un gruppo di persone (forse fotografi professionisti?) che puntano le loro reflex verso un punto specifico. Una strana macchia nera che vuole essere un buffo tricheco.
Ci dirigiamo verso lo Svalbard Museum dove i racconti dei primi abitanti dell”arcipelago si fondono con la spiegazione dei problemi del surriscaldamento globale e l’osservazione attenta della wildlife.
Proseguiamo la giornata percorrendo circa i 10 chilometri di perimetro della cittadina, in lungo e in largo, in su e in giù. Per due volte incontriamo una volpe artica che zompetta nella neve in cerca di cibo e ritorniamo alla base giusto in tempo per cenare.
Frammenti delle Svalbard:
- I bambini vanno a scuola da soli. Ho visto cose che voi umani non potete nemmeno immaginare. Bambini che già da piccoli (4/5 anni) attraversano le strade diligentemente e vanno a scuola da soli.
- Non esistono garage. Sebbene le temperature siano difficili per ogni tipo di motore, gli abitanti delle Isole Svalbard non hanno i garage né per le auto né (ovviamente) per le motoslitte.
- In bici! La mia bici riposa in garage da Novembre ad Aprile. Gli abitanti di Longyearbyen utilizzano la bici in ogni mese dell’anno. Ecco perché sono così in forma!
Le Isole Svalbard sono la perfetta armonia tra i suoi abitanti e la natura circostante. Gli agenti atmosferici estremi non sono un nemico da combattere ma un coinquilino con cui convivere.
Parte della magia intrinseca delle Isole Svalbard sta proprio in questa convivenza.